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Nuovo gasdotto in Mongolia: la mossa di Putin che mette in crisi il price cap

Articolo uscito su Quotidiano Nazionale, il 7 settembre 2022

Dalla Russia alla Cina: la lotta del gas sta cambiando gli equilibri geopolitici. Le azioni di Mosca in Asia per evitare le sanzioni europee

Mosca, 7 settembre 2022 – La guerra del gas sta cambiando gli equilibri geopolitici sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno. È di oggi l’accordo della compagnia energetica russa Rosneft, controllata dal governo, per la costruzione di un nuovo gasdotto russo per la Cina attraverso la Mongolia. È stato denominato Forza della Siberia 2. L’annuncio è del presidente russo Vladimir Putin in persona che oggi si trovava a Vladivostok per partecipare all’Eastern Economic Forum, e ha incontrato il primo ministro della Mongolia, Luvsannamsrai Oyun-Erdene.

Dopo la chiusura del Nord Stream 1 (secondo Gazprom le sanzioni non permetterebbero di riparare il gasdotto e il ripristino del normale flusso di gas) e il blocco che non ha mai permesso al Nord Stream 2 di funzionare (la Germania ha dovuto interrompere il progetto per rispondere all’invasione russa dell’Ucarina), la corsa ad accapparrarsi il gas sta dettando legge nei rapporti tra le potenze del mondo. E la geografia politica che solo fino a poco prima della guerra in Ucraina sembrava dover durare a lungo va via via ridisegnandosi.

Il nodo price cap

In questi giorni si continua a parlare dell’attuazione del price cap sul gas russo, con l’Unione Europea che – anche dopo le lunghe insistenze del governo italiano – sta seriamente prendendo in considerazione l’idea. Ursula von der Leyen lo ha ribadito anche oggi, assicurando che il tetto al prezzo “sarà tra le misure”. Ancora da capire in quali modalità.

Certo è che viene da chiedersi se non sia troppo tardi per questa rischiosa manovra. L’Europa resta in gran parte dipendente dal metano di Mosca. Come si evince dai ricatti di Putin, fissare un tetto innescherebbe la chiusura pressoché totale di un gasdotto importante come il Nord Stream. Già oggi il transito di combustibile è limitato. Un ulteriore giro di vite, oltre a mettere alle strette le forniture per l’inverno di tutti i paesi europei (si parla di razionamento e di scorte per i prossimi mesi), costringerebbe la Russia a bruciare il gas in eccesso al confine con la Finlandia. Cosa che – secondo diverse fonti – sta già avvenendo. L’apertura del “Forza della Siberia 2” toglierebbe anche questo cruccio allo zar. Se gli impianti di stoccaggio attualmente sono pieni e non possono contenere il combustibile tagliato all’Europa, con il nuovo sbocco verso la Cina Mosca risolverebbe due problemi in un colpo solo. Aumenterebbe le forniture verso Pechino (e le conseguenti entrate di yuan/rubli) e attenuerebbe il nodo del gas invenduto (e bruciato).

L’ultimo tassello riguarda i rapporti commerciali tra Cina e Russia che sembrano sempre più stretti. Secondo uno studio di Ispi, le importazioni cinesi di greggio russo sarebbero aumentate considerevolmente, nonostante la Cina non possa sostituire, nelle quantità, il mercato europeo. E, se è vero che l’Unione Europea ha accresciuto negli ultimi mesi le importazioni di gas naturale liquefatto (gnl) dalla Cina per compensare i volumi mancanti di gas russo, viene fuori una sorta di cortocircuito. La Russia che vende gas alla Cina che lo gira all’Europa. Una catena senza molto senso, in apparenza.

Si sanziona la Russia e viene chiuso il Nord Stream, poi Mosca apre un nuovo gasdotto in Asia, cercando di spostare il proprio baricentro dell’export verso oriente. Il gas sta decisamente disegnando nuovi perimetri: l’Italia stessa si è spostata in Africa per avere nuovi distributori, alternativi a quelli russi.

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