Writing Design
Racconti

In che mondo vivi? – II parte

Emily rimase sola. Non sapeva che pensare. Il discorso delle due dimensioni la portò a riflettere su quella strana sensazione che si sentiva addosso spesso, troppo spesso. Non si sentiva a proprio agio in certi ambienti, oppure non era d’accordo con i discorsi delle persone. Era come se si sentisse messa lì a caso, in una scuola qualsiasi, in una società antagonista e perfida che di tutto faceva, fuorché aiutarla. Ma in fondo erano disagi tipici della sua età, così diceva sua madre. Ci sono età più critiche di altre, anche se ognuna ha le sue difficoltà. Le diceva sempre di pazientare, che presto avrebbe trovato anche lei il posto che le spettava tra gli altri, o perlomeno un modo per sentirsi più a proprio agio.
Emily si sedette sul letto a pensare a queste cose, ma poi si diresse alla finestra per sbirciare fuori. Fu da lì che vide la vallata e le fece uno strano effetto. Aveva sempre guardato col naso all’insù la casa. Ora, per la prima volta, guardava in giù tutta la cittadina e si sentì paradossalmente bene.
«Lo sai che i tuoi pensieri potrebbero essere giudicati come “piuttosto presuntuosi”?»
La ragazza sobbalzò spaventata e si guardò intorno, in cerca di chi aveva parlato. Ma nella stanza non c’era nessuno.
«Tranquilla – tornò a echeggiare la voce – non voglio spaventarti». Emily capì che quella voce suonava nella sua testa. Poi dal nulla comparve un ragazzo nella stanza.
«Pensavo avessi più fegato», sghignazzò, guardando il viso di lei colorato da un’espressione d’incredulità, frammista a incomprensione. Se non altro ora la voce proveniva da lui e non dalla sua testa. Prima che Emily gli chiedesse se sapeva ascoltare i suoi pensieri, lui intervenne di nuovo.
«Mi pare ovvio, no? Sento quel che pensi…»
«E perché sarei una presuntuosa?», riuscì a chiedere lei.
«Perché ora che sei qui, sul monte, guardi in giù e ti senti superiore rispetto agli altri, a quelli che non affrontano mai la salita che hai fatto tu oggi».
Emily divenne rossa, ma non fece in tempo a rispondere.
«Comunque non ho detto che sei presuntuosa – disse ancora lui – ho solo detto che dai tuoi pensieri potresti sembrarlo».
Guardò compiaciuto le espressioni di Emily che cambiavano velocemente, come il cielo quando c’è il temporale, a tratti compare un raggio di sole, ma poi tornano le nuvole. Rimasero un po’ in silenzio, poi lei lo ruppe e la sua voce pareva stridula, ma fievole in quell’atmosfera nuova e sognante.
«Che posto è questo?»
«Si chiama “Anticum”, è una casa incastrata tra due mondi. Non c’è solo la tua dimensione, come hai sempre creduto e come tutti qui pensano».
«Ce ne sono molte?»
«Sì tante, ma non tutte sono conosciute. C’è ancora molto da scoprire e da cercare».
Emily rimase in silenzio e il ragazzo continuò dopo qualche respiro.
«Non ti sei mai chiesta perché nessuno sa chi abita qui dentro?»
«Sì, forse troppe volte».
«Questa casa ha una peculiarità. Non tutti la vedono com’è realmente. Quelli del tuo mondo la vedono come una sorta di catapecchia, col tetto pieno di buchi e le mura pericolanti. Ecco perché ti guardavano tutti strano, quando chiedevi chi abitava qui».
La ragazza alzò gli occhi e lo guardò fisso.
«Scusa – proseguì lui – immagino ti dia fastidio il mio leggerti la mente».
«Se gli altri vedono questa casa come non è, perché io invece la vedo diversa?»
«Perché probabilmente hai delle caratteristiche che ti permettono di vedere oltre. Te l’ha detto anche Aviria poco fa, mi pare. Ma il fatto che tu non sappia nemmeno di cosa stiamo parlando, mette tutto in subbuglio. Forse non sei tu la persona che stavamo aspettando».
Emily si morse il labbro. Cosa poteva farci se non sapeva? Ma il suo trovarsi lì doveva avere un significato.
«Perché sei venuta fin quassù?»
«Curiosità», rispose lei secca.
Lui fece una smorfia, storcendo il naso e fece per andarsene. Stava già quasi per scomparire nell’aria, quando Emily lo fermò.
«Ehi, ma dove te ne vai adesso? Perché non mi spiegate tutto più chiaramente? Vieni qui a leggere i miei pensieri e non ti degni neppure di presentarti! Sei proprio maleducato… Aiutami a uscire da qui almeno!». Il suo tono si era alzato di volume e aveva iniziato a gesticolare in modo furioso. Allora il ragazzo intervenne per bloccarle le mani e:
«Non urlare!», disse. «Prima di tutto se Aviria mi becca qui, sono nei guai e poi calmati!»
Emily si calmò all’istante. Percepì il tocco caldo delle mani del ragazzo. Allora non era un fantasma. Era reale anche lui, era fatto di pelle e sangue come lei, anche se sapeva scomparire nel nulla.
«Tu sei come me…», le scappò detto e si trattenne, ma poi non c’era bisogno, ché lui tanto sapeva alla perfezione cosa voleva dire.
«Ma certo che sono come te. Cosa ti aspettavi, che fossi un vampiro, con la pelle coperta di brillantini che ti abbagliano non appena mi metto al sole?»
Emily rise e con quella breve ilarità tornò tranquilla.
«Hai ragione comunque, sono proprio maleducato». Sorrise e, lasciandole il polso che teneva ancora bloccato, le strinse una mano con fare delicato, «mi chiamo Nicolas e provengo da Proxima b».
Prima che Emily lo domandasse, continuò: «Sì proprio il pianeta che hanno recentemente scoperto, ma di cui non sanno nulla, mentre noi su Proxima sappiamo tutto di voi».
«Nicolas!», era la voce di Aviria, che d’improvviso era entrata nella stanza. Il ragazzo di solito la sentiva arrivare, cogliendo strascichi di pensieri, ma questa volta non se n’era davvero accorto, forse a causa di Emily.
«Sai benissimo quali sono le regole, cosa ci fai qui?»
Il ragazzo si limitò a fare spallucce e a sorridere, tanto ormai si sapeva che non era un tipo che ubbidiva.
«Secondo me lei è una nuova», disse poi ad Aviria, riferendosi a Emily. «Non conosce, ma ha delle doti».
«Non credo spetti a te definire chi sia lei e comunque alla sua età è già tardi».
«Per che cosa è tardi?», intervenne Emily.
«Per venir istruita! Se fossi stata chi cercavamo avresti dovuto essere più giovane».
Emily si sentì offesa, senza nemmeno sapere bene il motivo… non era ancora maggiorenne e le dicevano che era già troppo vecchia per non si era ancora capito che cosa.
«Insomma si può sapere chi siete e cosa volete? Se non sono la persona che cercate, perché non mi lasciate andare?»
«Perché andresti in giro per la città a raccontare che sei stata qui, hai visto noi e ti prenderebbero per pazza!», urlò Aviria. «Inoltre i dubbi ti dilanierebbero per anni, dopo quel che ti ha raccontato Nicolas» e lo fulminò con uno sguardo che avrebbe fatto tremare i muri, ma non quel ragazzo sfrontato, che invece rispose ardito:
«L’ho fatto solo perché, secondo me, non dobbiamo fermarci all’apparenza. Il fatto che Emily non sappia non dovrebbe stupirci, né allarmarci. In fondo, sappiamo bene che gli esseri umani sono i più ignoranti in queste questioni», lanciò un’occhiata veloce a Emily come per dirle “non arrabbiarti e fammi finire”. «Vivono nel loro mondo totalmente ignari e inconsapevoli di quel che c’è fuori. Hanno strumenti rudimentali per studiare l’universo e il poco che sanno non lo divulgano!»
Aviria era rimasta in silenzio, soppesando quelle parole, ma non convincendosene.
Nicolas continuò:
«Io le darei una possibilità e anche se per la sua età è un po’ indietro, nel senso che i suoi poteri, sempre se esistono, avrebbero già dovuto mostrarsi, c’è il caso che sia una nuova». Emily notò ancora quella parola. Quel “nuova” strideva con tutto il resto, cosa significava?
«Significa che sei qualcosa che ancora non è stato scoperto Emily». Nicolas le aveva ancora prontamente letto i pensieri. «Finora, grazie ai collegamenti tra i mondi che conosciamo, sappiamo che esistono cinque tipologie di esseri: i pensanti, gli esistenti, i dinamici, i vaghi e i perduti. Se non rientri in una di queste categorie, forse sei qualcosa di diverso».
«Ora basta così – intervenne Aviria – hai detto anche troppo».
«La prego, mi faccia rimanere!», esclamò Emily all’improvviso. «Mi faccia capire se ho qualche possibilità! Se vedo questa casa e sono arrivata fino a qui, un motivo ci sarà pure!»
Aviria tacque a lungo, pensierosa, spostando lo sguardo da Emily a Nicolas, per poi portarlo sul “volantino” che la ragazza aveva lasciato sul letto.
In fondo quello era stato l’esca che proprio loro avevano lasciato in città.
«Molto bene», disse la signora alla fine. «Ti darò cinque giorni. Nicolas, spetta a te istruirla per quel poco che riuscirai in questo breve tempo. Se al termine dei cinque giorni, mi convincerai, questa stanza sarà tua, Emily e, se passerai l’esame di ammissione, forse riuscirai anche a frequentare l’università».
Aviria guardò entrambi i ragazzi negli occhi per un’ultima volta, poi uscì da dove era entrata.
Ci fu silenzio per qualche minuto nella stanza. Il cuore di Emily batteva forte, ma non riusciva a pensare a niente. Nicolas la osservava discreto.
«Ma di quale esame parla? E quale università?», le sfuggì alla fine.
«Per poter viaggiare nelle altre dimensioni, bisogna essere adeguatamente preparati e per avere il privilegio di studiare a Millinstadt bisogna possedere doti di un certo tipo, le uniche che potrebbero consentirti di entrarci».
«Ok… ma non capisco quel maledetto volantino… cosa c’entra? Non ha senso in tutta questa storia».
«Questo lo dici tu… il punto è che c’è un posto vacante nell’università. Ne è rimasto uno solo e potrebbe essere il tuo».
Nicolas la guardò dritto negli occhi con un misto di curiosità e sicurezza.
«Ti va di mostrarmi cosa sei capace di fare?», le chiese porgendole la mano.
Lei spostò lo sguardo sulla mano a mezz’aria e la strinse con forza.
«Non vedo l’ora».

Il racconto dovrebbe continuare?

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected!