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Racconti

In che mondo vivi? – I parte

Sulla vetta del monte, la casa si ergeva illuminata dalla luna in quella notte tenue all’inizio della primavera. Di giorno pareva anonima, quasi nascosta dal verde degli alberi che la circondavano, ma di notte il bianco dei muri risaltavano come un faro.
Per Emily quella casa era diventata un punto di riferimento ogni volta che usciva dall’allenamento di pallavolo la sera tardi e doveva rincasare pedalando veloce sulla sua bici arrugginita e cigolante.
Il buio non sarebbe stato un problema, se non fosse stato per la nebbia che aleggiava qua e là come brandelli di spiriti senza nome o età. Emily, comunque, non aveva paura, rimaneva però interdetta ogni volta che doveva tornare a casa in quelle circostanze. Per fortuna era solo questione di dieci minuti al massimo e la presenza di quella casa dava al paesaggio un aspetto surreale.
Emily non sapeva chi ci vivesse. Aveva provato a chiederlo, ma tutti mantenevano il riserbo o rimanevano vaghi come se fosse, in realtà, disabitata. La sua curiosità non le dava tregua e le passava per la testa, a volte, l’idea di salire la lunga salita per dare una sbirciata, per lo meno da fuori.
Un giorno, uscendo da scuola, la sua attenzione venne attirata da un volantino appeso a un palo, poco distante dalla fermata dell’autobus. C’era una foto raffigurante proprio la casa del monte e, sotto, una scritta: “Affittasi stanza ammobiliata per studenti universitari”.
Emily scrutò a lungo il volantino. La foto ritraeva la casa dalla stessa angolatura, da cui era solita vederla lei e le sembrò strano. Di solito volantini del genere facevano vedere la casa da vicino o una parte della stanza da affittare. La seconda circostanza davvero strana era la dicitura “studenti universitari”: non c’era nessuna università in città. Il primo polo universitario più vicino distava 50 km. Terza cosa inusuale era il volantino in sé. Nell’era di internet, annunci di quel tipo si mettevano su portali fatti apposta, anche se qualcuno prediligeva ancora la carta e non c’era nemmeno un numero di telefono da chiamare.
Comunque l’orologio non fece in tempo a far fare alle proprie lancette un giro completo, che la ragazza già si ritrovò di fronte alla casa. Con le mani aggrappate ai ferri del cancello e il viso ovale, che quasi avrebbe voluto passare da solo attraverso quella barriera, si mise a scrutare la gigantesca villa, adornata di balconi e col tetto a spiovente. Era tutto estremamente curato, dalle ante delle finestre, alla rasatura del prato e non aveva di sicuro l’aspetto di un posto disabitato. Era la prima volta che la vedeva così da vicino. La sua curiosità l’aveva portata fino a lì e, forse, l’avrebbe condotta anche a girare attorno al perimetro del cancello per trovare un modo per intrufolarsi dentro di nascosto, se non fosse stato per l’improvvisa scossa del citofono e la fuoriuscita di una voce metallica che la fece sobbalzare.
«Che ci fai lì ragazzina?», udì Emily.
Lei, sventolando il volantino, che aveva trovato vicino alla fermata dell’autobus, davanti alla piccola telecamera del citofono, esclamò:
«Sono qui per la stanza di affit…»
Non fece in tempo a concludere la frase che già le imponenti ante del cancello si stavano aprendo. Emily fece qualche passo in avanti e si stupì di come fosse stato semplice entrare lì. Andò davanti al portone in legno e subito si aprì. La ragazza si ritrovò davanti un uomo corpulento e macigno che con la sua voce grossa, tuonò:
«La stanza in affitto è solo per studenti che frequentano l’università».
«Lo so…»
«Non mi sembri un’universitaria tu!», sbuffò incrociando le braccia.
«No, ehm, ho diciassette anni, ma…»
«E allora come hai fatto a trovarlo?»
Emily lo fissò in volto con aria interrogativa, allora l’omone le indicò col dito grassottello il volantino che lei stringeva ancora in mano.
«L’ho trovato e basta», disse lei.
Lui la guardò per un attimo negli occhi, come in cerca dell’indizio che potesse trovare una bugia, laddove invece c’era solo verità, poi le intimò con voce profonda:
«Vieni con me».
Emily deglutì, poi però entrò in casa. La porta dietro di lei si chiuse e si rese conto che finalmente era nel posto in cui aveva sempre sognato di essere. Un’insolita pulsazione elettrica le si riversò nelle gambe dopo i primi passi e, camminando lungo un interminabile corridoio, si sentiva eccitata all’idea di poter finalmente far parte di un segreto.
Perché, infatti, tutto lì dentro pareva tale. Le sembrò di essere entrata in un posto che non doveva essere svelato a nessuno.
L’uomo, dal passo pesante quanto la sua statura, la condusse in una stanza con sedie e scrivania e, dopo averla fatta accomodare, affermò con forza che non sarebbe mai dovuta venire fino a lì e che avrebbe dovuto ignorare il volantino, lasciandolo appeso dove l’aveva visto.
«Anche se poi non avresti mai dovuto vederlo», gli scappò detto tra i denti.
«E perché no?»
«Non te lo posso dire, ché poi andresti a dirlo in giro e non possiamo incorrere in questo rischio».
«Ma non è vero!». Emily sbuffò, il tizio era alquanto scorbutico. «Senta, sono qui per la stanza in affitto, me la può cortesemente mostrare?»
«Ma quale stanza, non c’è nessuna stanza in affitto qui».
«E allora perché mi ha fatto entrare?»
L’uomo non rispose, alquanto scocciato, piuttosto iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, come se fosse in attesa.
«Comunque non c’è nessuna università in città», azzardò Emily.
Ma non fece in tempo ad aggiungere altro, perché all’improvviso la porta della stanza, dietro di lei, si aprì ed entrò una signora vestita di nero, con uno scialle avvinghiato al collo che le scendeva lungo la schiena, come se fosse stato un mantello.
«Nella nostra dimensione l’università a cui ci riferiamo è poco distante da qui e si chiama “Millinstadt”», affermò entrando e guardando Emily negli occhi. «Quello che tu chiami “volantino” – aggiunse subito – in realtà è un oggetto bidimensionale che solo quelli del nostro mondo e quelli che si trovano a metà tra due mondi possono vedere. Se l’hai trovato e sei venuta fino a qui, significa che hai qualche particolarità che ti ha permesso di vederlo».
«Tra quali due mondi sarei a metà?», chiese Emily, nascondendo la sorpresa nata nell’ascoltare quella breve spiegazione. Voleva subito arrivare al dunque e desiderava delle risposte.
La signora dallo scialle svolazzante rimase perplessa per qualche secondo, poi disse:
«Dovresti dirmelo tu in realtà… ma se lo stai chiedendo significa che sei del tutto ignara di quello che ti sto raccontando».
«Ma certo che non sa niente – intervenne l’omaccione – lo si capisce da come si atteggia. È solo una curiosa!».
La signora lo fulminò con lo sguardo, poi tornò a guardare Emily e le chiese di seguirla ancora una volta. La portò in un’altra stanza. Questa volta era una camera da letto, forse proprio quella che in teoria avrebbe dovuto essere affittata. La signora, che si chiamava Aviria, le disse che per quella notte avrebbe dovuto pernottare lì e che si sarebbe occupata lei di avvertire i suoi genitori.

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